In tempi passati, quella riportata nel titolo era una delle frasi più attese da tutti durante l'anno, in particolare il 17 gennaio, mese freddo in cui i viveri scarseggiavano.
Da una tradizione nata nel tempo, Birbante, al secolo Ventura Domenico, la notte della vigilia del 17 gennaio (festa di Sant'Antonio abate) a casa sua, al camino, aiutato da alcune persone (pulennari) preparava una polenta per quasi tutto il paese. Alle prime luci dell'alba, appena la polenta era pronta, alcuni ragazzini del paese partivano per le strade ed i vicoli del paese per gridare: A pulè, a pulè a che Duminicu ‘e Giuannè. Era un segnale, un codice che avvertiva di accorre quanto prima alla casa di Domenico per prendere una porzione di polenta. Agli ultimi arrivati toccava quello che rimaneva. Per il freddo e la fame la pulenna era una salvezza per alcuni. La tradizione continuò con il figlio, Birbantegliu, e poi con la nuora, Parmarosa. Una tradizione ancora oggi rimasta in piedi quella della polenta di Sant'Antonio.
Immaginate un forestiero che la notte tra il 16 ed il 17 gennaio dormiva in qualche casa di Pereto. Sentendo queste grida non capiva il significato.
La frase in dialetto lascia pensare ad un lavoro da fare. Per chi è di Pereto conosce il suo dialetto e dove si trova la chiesa di San Giovanni e che c'è dentro.
Immaginate se arriva in paese un tedesco, o un francese, o un inglese, o uno spagnolo o un cinese, oggi siamo in un mondo multietnico. Vede un campanile, due croci sul tetto e, se ha la vista lunga, l'architrave inciso del portale. La chiesa è chiusa, passa, fa due foto, le pubblica su Internet e scrive (traduco dalla sua lingua): Bella chiesa, antica, peccato che è chiusa.
In molti paesi, dove ci sono dei monumenti o delle opere di pregio, viene messa una targa metallica dove in più lingue spiega in poche parole qualcosa dell'edificio.
E' un costo sicuramente, ma è un'opera che può valorizzare la chiesa ed il paese.
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